Il progetto di riqualificazione del territorio prospiciente il Santuario di Santa Maria in Basilico, nasce dalla volontà di portare a conoscenza l’intensa storia che attraversa questo luogo, che ha origini molto antiche, oltre che un grande patrimonio naturalistico, di questo e tanto altro ce ne parla la dr.ssa in archeologia Claudia Di Cino:
“la mia ricerca commissionata è stata intensa e ricca di grandi scoperte; afferma la d.ssa Claudia Di Cino che ha curato personalmente l’indagine storico -archivistica preliminare necessaria: lo studio si apre sul territorio del comune di Villa Santa Maria (CH) nella Valle del fiume Sangro in una posizione naturale strategica a pochi chilometri dalla ramificazione meridionale del lago di Bomba. Il luogo in questione, noto per il Santuario intitolato a Santa Maria in Basilico, sorge nelle vicinanze di un antico tracciato viario (“mulattiera” o piccolo braccio tratturale, detto “tratturello”) che da Aufidena passava per Trebula (Quadri) e si ricongiungeva all’altra strada che portava da Ostia Aterni (Pescara) a Larinum (Larino), come citato dalla Tabula Peutingeriana. In questa porzione di territorio molto ampia si apre lo scenario della maestosa dimora benedettina, denominata Santuario di Santa Maria in Basilico, dal quale deriva il toponimo dell’attuale Villa Santa Maria.”
Il Santuario e la sua storia
La chiesa, secondo un’antica leggenda popolare, è sita nel luogo ove era il nucleo originario del paese, sulla strada che da Aufidena passava per Trebula e si ricongiungeva all’altra strada che portava da Ostia Aterni ed arrivava a Larinum come citato dalla Tabula Peutingeriana.
Questo percorso viario è documentato dai resti di un ponte presso Quadri, ove presso la chiesa di Santa Maria del Pianto c’erano delle pietre miliari.
La prima citazione della basilica oggetto di studio è attestata al 703, anno in cui i tre fratelli nobili beneventani, Paldo, Tato e Taso, fondarono il convento di San Vincenzo, lungo le rive del Volturno (Molise), per dedicarsi ad una vita ascetica al di fuori della loro città natale.
Il Gregorovius, uno dei maggiori studiosi dell’età medievale, afferma che il suddetto convento, insieme a quello di Montecassino, furono i più famosi in quel tempo in Italia.
Nel 703 la Badia di Santa Maria in Basilico, viene nominata nel Chronicon Volturnense ove si nota che il duca di Benevento Gisulfo 1 donò all’abbazia di San Vincenzo al Volturno,
“l’ecclesiam Sanctæ Mariæ quae vocatur in duas Basilicas, quae est iuxta Sangri fluvii alveo sita, ubi ad antiquo tempore nulla abitatio hominum memoratum, sed tantu, silva publica”.
Nel 784, Carlo Magno, con diploma, confermava tutti i diritti e beni a San Vincenzo al Volturno, tra cui anche l’ecclesiam Sanctæ Mariæ quae vocatur in duas Basilicas, quae est iuxta Sangri fluvii alveo sita, ovvero l’odierna Santa Maria in Basilico, ubicata, come cita il testo in latino, in una zona disabitata e ricca di boscaglie.
In seguito a questa acquisizione monastica, i monaci di San Vincenzo al Volturno inviarono sul luogo dei congiunti per il dissodamento della silva pubblica e quindi la costruzione dell’edificio e del convento annesso (di cui si cercano tracce archeologiche in situ poiché annoverato spesso nelle fonti scritte).
Il Chronicon Volturnense fu scritto nel XII secolo da un monaco di nome Giovanni; questo testo si propose di riordinare le memorie dell’antico cenobio benedettino. E una preziosa testimonianza per tutta l’Italia meridionale nell’alto medioevo. Il manoscritto originale della cronaca, ricco di miniature e vergato in scrittura beneventana è oggi conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.
Probabilmente in questa spedizione i frati furono seguiti da coloni e da ex carcerati che, per sfuggire alla Giustizia, chiesero asilo fondando poi il villaggio che dalla Basilica prese appunto il nome di Villa Santa Maria in Basilica.
L’ubicazione dell’antico presidio è da collocarsi nelle zone dette Pietra Grossa e Vallone Liscia, nella zona detta attualmente Macerine.
Con la discesa in Italia di Carlo Magno nel 774, chiamato da papa Adriano I, ebbe inizio la denominazione dei franchi carolingi, che si protrasse fino all’ 888. In questo periodo la città rimase annessa al ducato di Benevento.
Negli anni successivi quasi tutta l’Italia meridionale si trovò suddivisa in feudi e le terre in cui si trovava Villa Santa Maria facevano parte dei possedimenti idi una famiglia, che secondo il Croce, era forse di origine franca, ricordata come la famiglia di Borrello.
Intorno al 930, mentre era re d’Italia Ugo di Arles (926/946), detto anche Ugo di Provenza, un tale Berardo Francesco venne al seguito del re della Borgogna, di cui era parente. Si sposò con l’erede di un’illustre famiglia romana che ebbe un figlio di nome Borrello. Questi, approfittando dell’anarchia feudale esplosa in Italia già durante il regno longobardo, riuscì a divenire signore di alcune terre poste nell’alta valle del Sangro e qui, probabilmente sui resi di un’antica città distrutta, fondò una nuova città, Civita di Borrello, odierna Borrello.
I suoi discendenti utilizzarono poi questo nome come cognome della casata nobiliare divenendo resto signori di un vasto territorio feudale che si estendeva tra il Molise ed il Chietino e dove il fiume sanciva il confine. Tale zona prese appunto il nome di STATO BURRELENSE e comprendeva: Castel di Sangro, San Pietro Avellana, Capracotta, Agnone, Pietrabbondante, Carovilli e le terre sulla riva sinistra del fiume Sangro, tra cui Villa Santa Maria.
Nel 1024 iniziarono le incursioni Saracene e iniziarono ad infiltrarsi i Normanni in Italia che posero fine al periodo delle Signorie.
Nel 1139 Ruggero II nella sua battaglia alla conquista dell’Italia meridionale si scontro con il Papa Innocenzo II, che fu sconfitto e fatto prigioniero; così lo scomunicò per poi assolverlo in tempi brevi, avendo Ruggero confermato il sistema di vassallaggio lo dichiarò Re di Sicilia e duca di Puglia. Fu proprio in questa occasione che il neo Re, memore della partecipazione della famiglia Borrello alla spedizione di Leone IX contro il padre, volle conquistare la terra burrolense per annetterla la regno di Sicilia.
Alla sua morte, nel 1154, salì al trono il figlio, Guglielmo il Malo, che fu però ucciso presto dai suoi Baroni; così gli successe il figlio, Guglielmo II, un re molto saggio che per la sua bontà fu soprannominato il Buono; sotto il suo regno i Borrello recuperarono gran parte del loro Stato.
In quel periodo lo Stato di Civita di Borrello comprendeva tra terre, castelli e feudi, Civita di Borrello, Rosello, Pilo, Collemiga, Rocca dei Pizzi (odierna Pizzoferrato), Riparella (odierna Civitaluparella), Monte Lu Piane (oggi Montealpiano), Carpineto, Casalanguida, Pescopennataro, San Pietro Avellana, Malanotte (detta poi Buonanotte ed oggi Montebello sul Sangro), Faldo (odierna Fallo) e Villa Santa Maria.
Intorno al 1250, secondo alcune fonti storiche, tonava a far parte della Contea di Teate (odierna Chieti).
Nel 1266 il Papa Urbano IV, stanco dei soprusi di Manfredi, chiamò in Italia Carlo d’Angiò, che vinse Manfredi; fu allora che il Corradino scese in Italia e attaccò Carlo d’Angiò ma fu da questi sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo, dove oggi sorge la chiesa di Santa Maria della Vittoria fatta erigere dallo stesso Carlo in onore della vittoria. Corradino fu catturato e decapitato poi a Napoli, sulla Piazza del Mercato, da quel momento iniziava la dominazione angioina.
Carlo I d’Angiò fu assai crudele con i Baroni (in Abruzzo) che avevano aiutato il Corradino e per cui tolse loro delle terre, esiliandoli o imprigionandoli o impiccandoli, saccheggiandone le terre stesse e incendiandole. Ai nobili che invece lo sostenerono donò in cambio del favoritismo le terre espropriate ai primi.
Dopo la morte di Carlo d’Angiò e dei suoi successori, arriviamo all’inizio del XV secolo, dove in questi luoghi prese potere la famiglia dei Caldora, che da Castel del Giudice, dominarono anche i territori circostanti, tra cui Villa Santa Maria.
Le gesta di Giacomo Celeste Caldora, che fu un valoroso capitano militare che riuscì a conquistare diverse terre in Abruzzo, Molise e Puglia, si svolsero sotto il regno di Giovanna II e Alfonso d’Aragona. Durante questo periodo il territorio di Villa Santa Maria appartenne a lui come citato nelle fonti; nell’elenco delle Baronie urbane (terre) possedute dalla famiglia nobile dei Caldora, riportato dal Masciotta, si legge, nel seguente ordine:
Asinello, Belfiore, Belmonte del Sannio, Bitonto, Buccino, Campo di Giove, Campo Marino, Canatina, Carpinone, Casolla, Casano di Bari, Castel del Giudice, Civitaluparella, Civitella, Colledimezzo, Conca, Castel Guidone, Castellano, Civita Borrello, Ferrazzano, Forca di Palena, Gioia, Guastameroli, Guglionesi, Lama; Lettopalena, Lupariello Civitaluparella, Magliano, Montelapidario, Montenerodomo, Monteroduni, Pescopennataro, Pettoranello di Molise, Pietrabbondante, Pilo, Pizzoferrato, Pizzone, Quadro (Quadri), Roccavivara, Rocchetta al Volturno, Rosiello (Rosello), Salpi, Santa Croce, Sant’Angelo del Pesco, Sant’Angelo in Grotte, Scapoli, Scontrone, Termoli, Villaregia, Villa Santa Maria.
Nel 1476 Villa Santa Maria passò nelle mani di Giovanna, figlia di Giovanni II re d’Aragona e di Sicilia.
Nel 1560 il Barone Martino di Villa Santa Maria, vendette questo suo podere a Ferrante Caracciolo, che era signore di numerose terre. Siamo oramai in piena dominazione spagnola, iniziata con l’avvento sul trono di Napoli di Ferdinando il Cattolico e che perdurò fino al 1713, quando gli austriaci presero il Regno di Napoli. La dominazione austriaca continuò fino al 1735 e ad essa successe la dinastia borbonica che durò fino al 1860.
In seguito dalle leggi di soppressione del 1810 il monastero fu privato del diritto di esattoria feudale, fatto che ne causò l’abbandono. I benedettini si trasferirono ad Atessa nella chiesa di San Pasquale portando con sé l’archivio che altrimenti sarebbe andato perso; tuttavia qualcuno non è concorde con questa tesi perché nell’archivio parrocchiale fin dal XVII secolo non si fa il nome dei benedettini.
Della chiesa altomedievale rimangono dei fusti delle colonne in granito, altre colonne furono inglobate dai pilastri che all’aspetto appaiono contemporanei del resto dell’edificio.
La statua della Madonna in Basilica sita all’interno della chiesa viene chiamata dagli abitanti di Villa Santa Maria anche Statua della Madonna in Basilico, perché la tradizione vuole che sia stata trovata in un campo di basilico, tuttavia questa tradizione orale del paese non è confermata da fonti e rimane la veridicità del testo in latino suddetto che dice duas Basilicas e quindi il nome più corretto è Chiesa della Madonna in Basilica.
(Ricerca storica a cura della dr.ssa Claudia Di Cino)
Dr.ssa Claudia Di Cino per concludere il percorso, avete riscontrato variazioni storiche durante le ricerche?
“Dalle mie personali ricerche condotte in Archivio di Stato di Chieti, grazie alle fonti scritte ed in questo caso al fondo degli atti demaniali del Municipio di Villa Santa Maria, ho riscontrato che il toponimo di Santa Maria in Basilico resta tale fino al 1820 circa; per cui questi atti rimettono in discussione il toponimo che troverebbe fondamenta nelle tradizioni orali tramandate di generazione in generazione.“
Ezio Varrassi