TERMOLI WILD: DISBOSCAMENTO E DEFORESTAZIONE

Disboscare: “spogliare in tutto o in parte una zona dal bosco che la ricopre“. Così viene definito il significato secondo il vocabolario Treccani. Le ragioni per cui si procede a tali operazioni possono essere molteplici, ad impatto positivo o negativo sull’ambiente.

Quando si parla di utilizzo positivo, tecnicamente si può eseguire un disboscamento intenso tagliando vecchie piante, malate, bruciate per la cura dei boschi, in determinate zone, per la produzione dl legname oppure per la costruzione di strade, edifici o per uso agricolo. L’opera di disboscamento, attuato attraverso i criteri tecnici della selvicoltura, mira alla salvaguardia della vegetazione (taglio di piante malate, vecchie, secche, bruciate…) o a ricavare legname dalla foresta, garantendo comunque un ricambio generazionale della vegetazione, in questo caso degli alberi.

Parlando, invece, di utilizzo negativo, lo si ha quando il disboscamento è esteso e duraturo, effettuato per motivi commerciali o per sfruttare il terreno per la coltivazione, in questo caso si parla di deforestazione, con accezione negativa. Un esempio di deforestazione è l’eradicazione illegale di alcune zone boschive per la costruzione di opere murarie, attività agricole o commerciali di vario tipo. Anche deforestazione e disboscamento illegale sono comunque sinonimi tra loro. In poche parole è la riduzione delle aree verdi naturali della terra causata dallo sfruttamento eccessivo delle foreste, costruzioni abusive, incuria, mala gestio delle amministrazioni locali e vendita illegale del legname molto diffuso in tutto il mondo.

Deforestazione effetti sull’ambiente e sul clima: sono migliaia le immagini satellitari analizzate per avere un’idea sul livello di deforestazione in tutto il mondo. Non hanno scoperto nulla di buono gli scienziati del Global Forest Watch che, insieme al “The Sustainability Consortium” e all’Università del Maryland, hanno condotto uno studio sulla deforestazione utilizzando Google Earth non solo per averne un’idea visiva, ma anche per capirne le cause. La Terra sta perdendo le sue chiome a un ritmo allarmante, con effetti devastanti sulla biodiversità, il clima e le comunità indigene. La raccolta di queste immagini, rilevate tra il 2001 e il 2015, ha portato all’individuazione di 5 cause principali che negli anni hanno aggravato il fenomeno a livello globale. In primis, il disboscamento dovuto alle materie prime (27%): gli alberi vengono abbattuti per far posto ad attività come l’agricoltura, l’estrazione mineraria e la produzione di petrolio e gas, oppure per motivi commerciali, tutte attività responsabili di una media di cinque milioni di ettari di deforestazione all’anno. Altra causa, la silvicoltura (26%), concentrata nelle foreste naturali e nelle piantagioni di alberi del Nord America, Europa, Russia, Cina, Brasile meridionale, Cile, Sudafrica e Australia; nella maggior parte dei casi, si tratta di una deforestazione temporanea legata alla raccolta e alla ricrescita programmata degli alberi per la fornitura di prodotti in legno. Poi c’è la shifting cultivation (24%), una tecnica di agricoltura familiare di sussistenza tipica delle regioni tropicali, dove le comunità locali praticano l’agricoltura tradizionale a turni in cui la terra viene ripulita e bruciata per la coltivazione a breve termine delle colture di sussistenza; dopo la raccolta, la terra viene lasciata per consentire alle foreste di rigenerarsi. L’impatto di questo tipo di deforestazione varia da luogo a luogo e quindi il livello di permanenza associato alla perdita di copertura dell’albero in questi paesaggi è meno semplice da determinare rispetto alla deforestazione guidata dalle merci. Tra le altre cause responsabili della deforestazione, ci sono: gli incendi boschivi (23%), principalmente concentrati nelle foreste settentrionali del Canada e in Russia, alcuni spontanei altri dolosi, ma spesso estremi ed esacerbati dai cambiamenti climatici con effetti permanenti sull’habitat naturale, lo stoccaggio del carbonio e sul ciclo naturale del fuoco; ed infine l’urbanizzazione (0,6%), responsabile in minima parte rispetto alle altre quattro cause, ma comunque con conseguenze non solo economiche, ma anche in termini di qualità della vita per milioni di abitanti delle città.

Molte volte c’è disinformazione tra le persone, alcuni non parlano mai di cambiamenti climatici, ma di una brutta stagione, o di una perturbazione atmosferica anomala. Quando il terreno cede, quando scendono giù intere montagne, case avvolte dal fango, gente che muore sotto le macerie, fiumi in piena che portano via tutto, la colpa non è mai della natura, l’unico colpevole è l’uomo che fino ad oggi è stato il primo distruttore di sé stesso. Noi umani quando parliamo di casa, non dobbiamo credere che la nostra casa siano “le quatto mura di cemento” che ci riparano dalla pioggia, la nostra vera casa è l’ambiente, ed il futuro dell’umanità non dipende dal denaro o dalle azioni in borsa, ma dalla capacità dell’uomo di salvare l’ambiente circostante. “Una volta si diceva dove c’è acqua c’è vita. Ora siamo arrivati al punto di dire: dove c’è  ghiaccio c’è speranza…”

di Ezio Varrassi

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